Le donne sono arrabbiate, ma generalmente fanno difficoltà a riconoscerlo e ad ammetterlo (prima di tutto a se stesse).
Molto spesso dietro la tristezza, l’umore depresso, la mancanza di energie o un difficile rapporto con il cibo si nasconde proprio la rabbia. Tanta rabbia.
Tutti gli esseri umani provano rabbia ma il modo in cui possono manifestarla è socialmente codificato secondo le norme di genere. La rabbia è un’emozione di per sé né buona né cattiva (come del resto tutte le emozioni) eppure viene considerata come un sentimento negativo, soprattutto se a provarlo è una donna, afferma Soraya Chemaly nel suo libro La rabbia ti fa bella.
Molta della cattiva reputazione della rabbia deriva dalla sua costruzione sociale e culturale. La rabbia delle donne è stata storicamente associata alla pazzia e all’isteria. Ancora oggi una donna che esprime liberamente la propria rabbia viene etichettata come poco femminile o mascolina. L’espressione di quest’emozione è considerata sgradita e inopportuna in ogni ambito sia lavorativo sia familiare, al punto tale da essere stata definita l’emozione bandita.
Sebbene siano crollate molte convenzioni e oggi le donne siano più libere di esprimersi di un tempo, è ancora diffusa la convinzione che essere femminili significhi non mostrare la propria rabbia.
Le donne in realtà non sono prive dell’istinto aggressivo ma ne sono state private. L’aggressività non ha di per sé nulla di indesiderabile perché è proprio grazie a quest’istinto che una specie si conserva in natura, come ci ha insegnato il famoso etologo Konrad Lorenz. Grazie alla rabbia e all’aggressività l’uomo (e la donna) hanno potuto nel corso dell’evoluzione difendere il proprio territorio e proteggersi.
La rabbia è fonte di disagio per le donne alle quali viene insegnato fin da bambine che mostrarsi arrabbiate è inopportuno ed essere aggressive può risultare molto sconveniente. Alle bambine viene insegnato che se esprimono la propria aggressività potranno essere escluse, isolate e allontanate dagli altri e che pertanto sarà meglio tenerla a freno, sottomettersi all’autorità, essere obbedienti, come se il fatto di alzare la voce avesse sempre conseguenze pericolose per la propria vita. In altre parole, dalle donne ci si aspettano tolleranza, calma, rispetto, comprensione e pazienza ad oltranza.
Le è stato detto di essere una brava bambina, poi una brava moglie e una brava mamma. E, anche se forse non se ne è accorta, le sono state raccontate delle storie in cui le donne che non rispettavano queste istruzioni diventavano pazze, o venivano uccise o rimanevano sole (Maura Gancitano).
Per i maschi è diverso perché possono manifestare apertamente la propria rabbia che al maschile è considerata come espressione di potere personale, di forza e sicurezza in sé. I bambini vengono incentivati a esprimere la propria aggressività che viene ritenuta una qualità utile a proteggere, difendere e guidare gli altri, a essere un vero e proprio leader.
Il modo in cui la rabbia viene espressa varia da persona a persona, alcune donne sono ipoagressive, altre iperagressive ma, come ha scritto l’analista Marina Valcarenghi, si tratta di manifestazioni sintomatiche di uno stesso problema, ovvero della difficoltà a riconoscere e a proteggere il proprio progetto di vita e la propria identità personale.
Le donne che soffocano la propria rabbia tendono a trattenerla facendola implodere dentro di sé e pur di non renderla visibile agli altri sono inclini a un logorante rimuginio mentale, un continuo combattimento che si svolge all’interno del campo di battaglia interiore che con il passare del tempo esaurisce le proprie risorse psico-fisiche. Molto spesso la depressione è il prezzo da pagare della rabbia trattenuta al proprio interno e che continua a scavare dentro come un tarlo. Spesso quando non trova uno sbocco all’esterno, la rabbia repressa finisce per corrodere e irrigidire il corpo manifestandosi sotto forma di un sintomo o di una malattia cosiddetta psicosomatica. Chi non esprime la propria rabbia non solo finisce per ammalarsi ma può arrivare addirittura a viverla sotto forma di angoscia e sensazione di impotenza fino ad arrivare alla depressione.
All’estremo opposto ci sono le iperaggressive, ovvero coloro che non riuscendo a trattenersi esplodono aggredendo gli altri, diventando violente e vendicative. È la reazione eccessiva di chi attacca per ferire l’altro, magari dopo averne subito a lungo i torti impotente, e che perdendo il controllo finisce per passare dalla parte del torto e ferirsi a sua volta.
Nonostante la rabbia goda di una pessima reputazione, rappresenta il principale carburante del cambiamento. Quando siamo arrabbiate è come se avessimo a disposizione molti litri di benzina per il nostro viaggio di trasformazione e realizzazione personale.
Se non siamo state educate a convivere con quest’emozione, possiamo imparare a sfruttarne il potere trasformativo a nostro vantaggio, a patto che rispettiamo questi 3 punti:
- smettiamo di far finta che non esista e ne diventiamo pienamente consapevoli. Riconoscere che il nostro malessere è rabbia e poterne parlare apertamente anche se siamo donne, oltre che permetterci di entrare in contatto con il nostro autentico sentire, consente di sfruttare il potere trasformativo di quest’emozione.
- impariamo ad ascoltarla e a chiamarla per nome. Familiarizzare con la propria rabbia, sentirla nel proprio corpo, permette di non subirla come un’energia distruttiva e fuori controllo ma di servirsi della sua carica a nostro favore. Rappresenta un fuoco che domato non dà origine ad un distruttivo incendio ma consente al terreno di rigenerarsi e a nuovi semi di germogliare.
- ce ne serviamo per difendere la nostra realizzazione personale piuttosto che per ferire gli altri. La rabbia rappresenta quella grinta necessaria per riuscire a dire di no e per stabilire dei limiti precisi nelle relazioni con gli altri delimitando il proprio spazio personale. È utile inoltre perché ci consente di esprimere e far valere i nostri bisogni, permettendoci di costruire rapporti paritari, di scambio e reciproco rispetto e di realizzare il nostro progetto di vita.
La rabbia andrebbe considerata un’ottima motivatrice ma una pessima consigliera, sostiene il collega Bernardo Paoli. Bisognerebbe pertanto evitare di prendere per buono il suo primo consiglio, così da permetterle di emergere ma senza esercitare il suo poter distruttivo. Un’ottima strategia per riuscire a fare della rabbia la nostra principale alleata è iniziare a metterla per iscritto così da darle uno spazio in cui poter defluire senza fare danni. Scrivere la propria rabbia, ad esempio in un diario privato, permette di incanalarla così da ricavarne quell’energia necessaria per raggiungere i propri traguardi personali, un po’ come le pale di un mulino sfruttano l’energia dell’acqua per macinare la farina. Questo è l’intelligente stratagemma che usò il sovrano Yu il Grande per salvare i raccolti durante un’inondazione che colpì il suo paese e che possiamo fare nostro per imparare a sfruttare l’energia della rabbia a nostro vantaggio.