I medici sanno da tempo che le credenze dei propri pazienti, in alcuni casi, possono essere persino letali. La convinzione di avere una grave malattia può essere più pericolosa della malattia stessa. Allo stesso modo in cui gli stregoni voodoo riescono a condurre le loro vittime alla morte attraverso il semplice potere della suggestione, indurre qualcuno a pensare di essere malato può produrre i veri sintomi di una malattia. Vomito, vertigini, mal di testa e persino la morte, possono aver origine dalla semplice convinzione di aver ingerito una sostanza nociva o di aver ricevuto una maledizione.
Quando la suggestione, le aspettative negative o il condizionamento conducono a una reazione nociva per l’organismo, si parla di “effetto nocebo” (che in latino significa “nuocerò”). Si tratta dell’effetto contrario al più noto effetto placebo che può essere definito come il miglioramento legato all’aspettativa di ottenere un beneficio dall’assunzione di un farmaco (o da qualsiasi altra forma di terapia) nella quale il paziente ripone fiducia.
Le aspettative negative di malattia generano ansia anticipatoria realizzando esattamente ciò che la persona teme: ciò che inizialmente è solo immaginato finisce così per produrre effetti fisici reali in una sorta di profezia che si autorealizza. Aspettarsi un dolore imminente in seguito ad un’iniezione o temere di non riuscire a respirare in presenza di un allergene, ad esempio, attivano i meccanismi dell’ansia, che a sua volta produce il rilascio di alcune sostanze (neurotrasmettitori) che amplificano il dolore stesso o mettono il corpo in allarme (iperventilazione).
Sebbene i medici non riescono ancora a spiegare il funzionamento di quello che è stato definito uno dei 13 misteri della scienza, l’effetto nocebo non è limitato a credenze e superstizioni presenti solo nelle società tribali, ma esercita numerosi effetti anche nel mondo occidentale. L’esempio più semplice di come agisca questo fenomeno è rappresentato dalle conseguenze derivanti dalla lettura di un bugiardino (il foglietto contenuto nella confezione dei medicinali). Venire a conoscenza dei possibili effetti collaterali di un farmaco ne comporta frequentemente la reale comparsa. Un altro esempio di come agisca l’effetto nocebo è la reazione al sibilo del trapano del dentista che, sebbene non abbia ancora toccato il dente, fa venire immediatamente i sudori freddi al paziente che ha imparato ad associare il rumore del tramano alla sensazione di dolore.
L’effetto nocebo può essere indotto anche da messaggi allarmistici lanciati dai mass media riguardo a pericoli e danni per la salute, come afferma Francesco Benedetti, il principale esperto di questo singolare fenomeno. Le aspettative negative possono essere diffuse non solo dalla tv ma anche tra familiari, amici, vicini di casa, e diffondersi molto rapidamente (soprattutto grazie alle nuove tecnologie), producendo un effetto nocebo di massa.
La storia è piena di misteriosi focolai che potrebbero essere sorti o essere stati alimentati attraverso il passaparola. L’epidemia più suggestiva è la micidiale “peste danzante” del 1518 a Strasburgo. L’origine di questo singolare contagio, che ha coinvolto nel giro di pochi giorni 400 persone che hanno iniziato a ballare per strada fino allo sfinimento (alcune sono persino morte) è stata la danza inarrestabile di una giovane donna.
Al giorno d’oggi, l’effetto nocebo trova la sua manifestazione più eclatante in disturbi controversi come le “sindromi da generatori eolici” e “l’elettrosensibilità” – una reazione allergica ai segnali del telefono cellulare e alla connessione wi-fi- che non trovano conferma scientifica. Sebbene alcune persone siano costrette a dormire in bozzoli di metallo per evitare il costante ronzio che avvertono nelle orecchie, dozzine di esperimenti hanno dimostrato che la probabilità di manifestare gli stessi sintomi è identica quando sono esposte a un trasmettitore fasullo che non emette onde elettromagnetiche. Già alla fine del diciannovesimo secolo, i primi utenti del telefono riferivano vertigini e dolori all’orecchio dopo il suo utilizzo e negli anni ’80 alcune persone hanno sviluppato singolari eruzioni cutanee per essersi esposte al monitor dei primi computer.
Qualche anno fa, Benedetti ha voluto fare un esperimento per provare come funziona l’effetto nocebo e si è offerto di condurre più di 100 suoi studenti sulle Alpi italiane ad un’altitudine di 3000 m. Prima della partenza aveva riferito ad uno solo studente che l’aria in alta quota avrebbe potuto provocare l’emicrania. Il giorno della gita, scoprì che i pettegolezzi si erano diffusi in più di un quarto del gruppo – e quelli che erano stati avvertiti della possibilità di avere il mal di testa lo avevano effettivamente avuto. Analizzando la saliva di questi studenti si è poi dimostrato che il corpo aveva reagito come se si trovasse in una condizione di mancanza di ossigeno, inclusa una proliferazione degli enzimi associati al mal di testa in alta quota.
I medici sanno che la comunicazione con il paziente è importante, ma spesso ne sottovalutano i potenti effetti sulla salute. Per utilizzare le parole di Benedetti: “occorre studiare in maniera più approfondita la farmacologia della parola, che ha effetti simili a quella della farmacologia chimica e come essa può portare anche a reali cambiamenti corporei. Con l’apporto della parola possiamo modulare l’autoguarigione indotta e prevenire i possibili effetti collaterali della paura.”
Se aspettative positive, fiducia e speranza, possono cambiare la biochimica del cervello, modificando i sintomi e il decorso di un disturbo, la guarigione passa anche attraverso le parole che utilizziamo per parlare della malattia. Un clima in cui vengono diffusi messaggi ansiogeni o eccessivamente catastrofistici, confusi, ambigui ed ambivalenti, non fa altro che rendere le persone più spaventate e vulnerabili. In alcune persone, il continuo stato di allarme può generare ansia e dare origine a reazioni ipocondriache (come misurarsi continuamente la febbre, chiedere rassicurazioni al medico, prestare attenzione a qualsiasi segnale proveniente dal proprio corpo, ricercare di informazioni in internet con il dubbio o la convinzione di essersi ammalate). Queste reazioni in condizioni di forte stress, possono sfociare in veri e propri attacchi di panico.
Se, come si è dimostrato, le parole sono potenti quanto i farmaci nel promuovere o rallentare il decorso di una malattia, che insegnamento possiamo trarne nel contesto attuale?
- medici e operatori sanitari dovrebbero cercare di migliorare la propria comunicazione con i pazienti per renderla più efficace ed evitare (anche inavvertitamente) di nuocere al paziente
- giornalisti e tutti coloro che si occupano di diffondere informazioni che riguardano la salute pubblica devono fare attenzione al linguaggio che utilizzano, attenersi il più possibile ai fatti reali, comunicare in maniera semplice e concisa, sapendo di avere una grossa responsabilità nell’influenzare la percezione delle persone e di conseguenza la loro salute
- ognuno di noi dovrebbe prestare più attenzione alle notizie che diffonde e alle parole che utilizza per comunicare con gli altri dal vivo e attraverso i social, così come indicato anche nelle indicazioni contenute all’interno del “Manifesto delle parole ostili”
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